Non tutti sanno che il Teatro Verdi è stato costruito sulle macerie di un carcere trecentesco. Tra i suoi “ospiti” illustri anche Niccolò Machiavelli e Benvenuto Cellini. Venite a scoprirlo insieme a noi.
“Oportet misereri” è la scritta che ancora oggi si può leggere sulla lapide posta all’ingresso del condominio di via Ghibellina 101 e che sormontava l’unica porta di accesso al vecchio carcere delle Stinche, porta che i fiorentini chiamavano appunto “Porta della miseria”. Circa cinque secoli di storia per il più grande carcere di Firenze, sorto all’inizio del quattordicesimo secolo sui terreni confiscati alla famiglia degli Uberti, appartenenti alla parte ghibellina, uccisi o cacciati dalla città dai Guelfi. Fu chiamato da subito“delle Stinche” perché utilizzato nei primi anni della sua storia per detenere i prigionieri di parte ghibellina catturati in battaglia presso il castello delle Stinche, appartenente alla famiglia Cavalcanti e situato nelle vicinanze di Greve in Chianti.

Tra i nomi illustri di coloro che furono rinchiusi nel carcere delle Stinche troviamo Giovanni Villani, famoso storico fiorentino, arrestato per debiti, Niccolò Machiavelli, accusato di aver congiurato contro i Medici, e Benvenuto Cellini, accusato di sodomia (anche se per il Calamandrei si sarebbe trattato di percosse ad un cittadino fiorentino). Dopo la chiusura nel 1815 per volere del Granduca Leopoldo II, che ritenne la struttura non più adatta alla città e all’aumentata attenzione per le condizione dei carcerati , iniziò quel processo di trasformazione che ne fece prima un edificio con appartamenti, negozi, una sala da musica e anche una cavallerizza, per poi divenire Teatro Pagliano, inaugurato nel 1854 e ribattezzato poi nel 1901, alla morte del compositore, Teatro Verdi.

La misericordia alla quale la lapide richiama era quella che veniva richiesta ai cittadini fiorentini, perché non solo il carcere non godeva di finanziamenti pubblici, ma i carcerati erano tenuti al pagamento di una retta per la permanenza all’interno della struttura carceraria. Ed è ulteriore memoria di questo incitamento alla misericordia il dipinto del XVII secolo posto nel tabernacolo all’angolo tra via Ghibellina e via Isola delle Stinche, rappresentante Gesù Cristo che benedice un cittadino che elargisce l’elemosina ad un carcerato. I cittadini più abbienti potevano quindi, pagando, mantenere un regime di reclusione accettabile (pur commisurato al periodo di cui stiamo parlando), i più poveri venivano abbandonati in celle prive di ogni minimo comfort e solo la misericordia dei cittadini poteva permettergli di sopravvivere. Un regime di reclusione estremamente pesante, ma pur sempre preferibile alla condanna alla galera inflitta per i delitti peggiori, ovvero la condanna ai lavori forzati come rematore sulle galee (o galere). Una situazione comunque difficilmente immaginabile ai giorni nostri e che solo una visita a quel che resta delle vecchie celle nei seminterrati del teatro potrebbe rendere più comprensibile.
