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  • Un angolo di storia



    Pezzi di vita passata affiorano intorno al nostro teatro che prima di essere un luogo di cultura è stato un carcere. L’ambientazione di questo tabernacolo del resto non è casuale. Scopriamo i particolari nel racconto di Marco Vanchetti.

    Il bel tabernacolo che onora l’angolo tra via Ghibellina e via dell’Isola delle Stinche, opera del valente pingitore Giovanni Morozzi, detto da San Giovanni, è il più grande tra quelli che costellavano i “canti” delle strade che tagliano in perpendicolare la medesima via Ghibellina e che erano insegne esposte a confortare il passaggio dei prigionieri sulla strada che li conduceva al patibolo dal Palazzo del Bargello e dal Carcere delle Stinche, che occupava l’isolato dove sorge oggi il Teatro Verdi. Si tratta tuttavia di un tabernacolo del tutto peculiare, esplicitamente di ambientazione carceraria, come si direbbe oggi, site-specific e di carattere narrativo. Gli faceva da simmetrico “contraltare” un tabernacolo gemello, assai più antico, andato perduto, all’angolo con via del Diluvio (l’attuale via Verdi).

    Nel “nostro” tabernacolo è ritratto il senatore Girolamo Morelli, probabile finanziatore dell’opera, nell’atto di versare un’elemosina a due carcerati, adempiendo, in presenza di Gesù Cristo, a una delle sette opere di misericordia. Per chi non lo sapesse, i carcerati, che non erano mantenuti con denaro pubblico, vivevano grazie al sostentamento da parte dei familiari e alla carità dei fiorentini. Sul cartiglio portato in volo dagli angeli è dipinta la frase in latino Quod uni minimis mei fecistis mihi fecistis, ovvero “quello che avete fatto ad uno solo dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me” (Matteo 25,40). Nella “banda” sul lato sinistro del Tabernacolo, l’unica sopravvissuta, è raffigurato San Leonardo di Noblac, patrono dei carcerati.

    Giovanni Morozzi nacque a San Giovanni Valdarno il 20 marzo del 1592; sfuggì alla carriera notarile ed ecclesiastica, verso le quali lo spingeva la famiglia, trasferendosi sedicenne a Firenze per seguire la sua passione per la pittura. Nel 1612 si immatricolò all’Accademia delle arti e del disegno. La prima commissione di cui abbiamo notizia sono due tele per il soffitto della galleria di Casa Buonarroti, in via Ghibellina. Nello stesso anno dipinse i cori angelici della cupola della basilica di Ognissanti. Agli anni giovanili risalgono gli affreschi per diversi tabernacoli: oltre a quelli su via Ghibellina (1616), quello bellissimo portato in via Faenza dall’originaria collocazione in via Cennini (Madonna col bambino, San Rocco, San Giuseppe, San Filippo Neri, San Carlo Borromeo e San Giovannino). Dal 1619 al 1620 si occupò della decorazione della facciata del palazzo dell’Antella in piazza Santa Croce, incaricato dal senatore Niccolò dell’Antella, luogotenente dell’Accademia del disegno.

    Una curiosità è rappresentata dalla riproduzione, nel quarto riquadro da sinistra, dell’Amorino dormiente di Caravaggio, attualmente agli Uffizi, che faceva parte della collezione della famiglia dell’Antella. Altra opera, oltre al tabernacolo, che sentiamo in qualche maniera “imparentata” col nostro teatro e la sua storia: gli affreschi a palazzo Galli Tassi in via Pandolfini (Amore e Psiche e due gruppi di Putti, al piano nobile, 1630-1631), che fu di proprietà di Girolamo Pagliano, fondatore del teatro, che qui morì nel 1881.

    Numerose le opere del Morozzi a Firenze e in Toscana (nonché a Roma, dove fu per buon tempo); vale la pena ricordare Ganimede sostituito a Ebe nella Villa Corsini a Mezzomonte, l’Aurora e Titone, proveniente da Palazzo Pucci e ora nel museo Bardini di Firenze, gli affreschi della sala degli argenti a Palazzo Pitti; La notte delle nozze della Galleria Palatina, il bellissimo affresco Quiete che tiene incatenati i venti (1620 circa) nel collegio delle Montalve, che diede il nome a villa La Quiete; il Riposo in Egitto (1621) nella cappella della Crocetta, che fa parte del complesso dell’Accademia d’Arte.

    Giovanni da San Giovanni morì a Firenze il 6 dicembre 1636, aveva 41 anni. Le cronache lo raccontano persona rustica e dal carattere ameno, propenso agli scherzi salaci. I suoi occhi vispi, che con sguardo acuto ci fissano ancora dal lato destro del “nostro” affresco, ci dicono che sicuramente lo è stato.

    Giovanni da San Giovanni è il primo a destra

    Il testo completo di questo racconto è stato pubblicato per la prima volta sul numero unico della Stagione teatrale del Verdi 2021/22. L’edizione integrale è disponibile alla consultazione e scaricabile in pdf dal link qua sotto.

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