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  • Musica e regime



    La nostra prima viola Stefano Zanobini porta avanti da una decina d’anni questo progetto che grazie anche all’Ensemble Alraune ha al suo attivo già 4 dischi. Pubblicati da NovAntiqua, sono interamente dedicati alle musiche di autori perseguitati e spesso uccisi dal regime nazista. Gli abbiamo chiesto di raccontarcelo.

    I compositori presenti in questa collana di CD hanno una triste storia in comune: la loro musica fu vietata dal regime nazista e le loro opere, quando non furono distrutte, vennero dimenticate o lasciate nei cassetti per decenni, mentre il mondo musicale procedeva nella sua evoluzione storica. 
    La musica infatti, che in Germania era pratica estremamente diffusa e patrimonio collettivo aperto a tutti i generi, divenne durante il Nazismo un mezzo di irregimentazione e di controllo culturale e sociale, un elemento fondante dell’identità nazionale e della politica del Reich e per questo fu oggetto di una radicale depurazione.
    A partire dalla presa del potere nel 1933, i nazisti costruirono una retorica nazionalista del “paese della musica”, che rappresentavano eloquentemente nell’immagine propagandista – disegnata da Lothar Heinemann – di un’aquila che tiene tra le proprie ali un organo e la scritta: Deutschland, das Land der Musik (Germania, il Paese della Musica).

    La vita musicale fu organizzata in modo estremamente efficace, tanto da divenire una potente ed efficiente macchina di propaganda. La Reichmusikkammer (Dipartimento di Musica del Reich) dirigeva, controllava e censurava l’intera attività musicale del Reich, soprattutto quando essa non era ritenuta “esaltante, edificante, adatta a stimolare sentimenti patriottici e nazionali”. I generi più colpiti furono la musica popolare dei paesi “inferiori”, tra cui il jazz, considerata musica negroide, e la musica avanguardistica, in particolare quella dodecafonica, troppo innovativa e considerata il prototipo della musica cosiddetta “degenerata”; ad essi si aggiungevano tutte le produzioni che non rientravano nella grande tradizione nazionalistica e romantica, gran parte delle canzoni del cabaret, politicizzate e infarcite di “bolscevismo”.

    Ma soprattutto ad essere condannata fu la musica degli autori ebrei, perché, per i nazisti, la musica doveva essere primariamente ariana e nazionale. Fu per questo motivo che, sulla base di studi volti a rintracciare le corrispondenze tra i brani musicali di certi autori e i loro tratti fisici e biografici, il musicologo Richard Eichenauer elaborò le sue puntuali teorie sulla musica razziale. Dalle Leggi di Norimberga del 1935, i musicisti ebrei o di origine ebraica furono licenziati massicciamente dalle orchestre, numerosi direttori d’orchestra non poterono più svolgere la loro attività e fu vietata l’esecuzione di opere di autori che avessero anche lontane parentele con l’ebraismo.  


    In una tale situazione di controllo rigoroso della vita musicale, ai compositori e musicisti anti nazisti rimaneva ben poca scelta, che si riduceva, per chi non voleva chinare il capo, all’esilio o al silenzio, una sorta di “emigrazione interna” questa, di rinuncia a comporre e a eseguire musica propria, pur continuando a vivere in patria. Chi invece aveva buone possibilità economiche o poteva disporre di aiuti all’estero, trovò meno complicata la triste strada dell’esilio, in molti casi negli USA, dove alcuni si ambientarono e, qualche volta, ebbero successo.  Per altri esiliare fu impossibile e molti furono vittime delle leggi razziali, arrestati e deportati nei lager nazisti.
    Ascoltando questi dischi sorge spontaneamente una domanda: come mai la musica di Ullmann, Zemlinsky e Tyberg è stata vietata dal regime nazista?
    Ogni regime autoritario si trova ad operare in più direzioni per cercare di guadagnarsi un futuro.

    Innanzitutto nega la libertà politica: vietati i partiti di opposizione e le manifestazioni; critiche al regime diventano un reato. Contemporaneamente mette sotto controllo i media per nascondere notizie negative: puó esplicitamente chiudere testate giornalistiche o subdolamente nominare simpatizzanti o amici in qualità di direttori e giornalisti. Infine organizza istruzione, cultura e intrattenimento “di stato”: ogni espressione artistica viene usata per rafforzare il nazionalismo, per svagare le persone (panem et circenses) o per creare cittadini che credono nel proprio regime; a scuola, nei film e nelle opere si descrivono i propri capi come nuovi Napoleone e si insiste su alcuni ideali o credo che il regime ritiene fondamentali; tra le espressioni artistiche, rientra ovviamente anche la musica, vocale o strumentale, colta o d’intrattenimento che sia.
    Ora chiediamoci nuovamente come mai questa musica venne vietata dal regime nazista. Per i più disparati motivi, talvolta chiari e banali, altre volte flebili o incoerenti. Pochi cittadini tedeschi intuirono i reali obiettivi e si preoccuparono per la propria libertà. Eppure erano pur questi dei segnali: queste piccole libertà negate avrebbero dovuto far accendere lampadine di allarme ad ognuno.

    L’Ensemble Alraune

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