Si sa che da sempre la musica classica vanta di grande solennità, e l’idea di questa a servizio degli spot televisivi suonerebbe quasi come una blasfemia. Tuttavia, questo connubio potrebbe lasciare piacevolmente sopresi … lasciatevi stupire!
Vendere un prodotto con un “crescendo” musicale in sottofondo, è il titolo, in traduzione maccheronica, di un articolo apparso sul New York Times qualche tempo fa, a proposito del rapporto utile e terribile fra musica classica e pubblicità.
Per l’autrice, Joanne Kaufman, uno dei motivi che portano gli art director a scegliere Mozart o Beethoven per lo spot del nuovo modello greenpower della casa automobilistica XY, o per il mega gestore telefonico YZ, è che la musica classica ribadisce all’orecchio del consumatore l’idea di solidità, di esclusività, di una solennità quasi sacrale del prodotto reclamizzato. All’opposto, ma non meno efficace ai fini della comunicazione, c’è l’effetto Tom e Jerry, cioè l’uso della composizione classica in contrapposizione al caos e alla gag comica, come nei cartoni Looney Tunes, dove Brahms, Liszt e Chopin venivano massacrati in irripetibili duelli pianistici, per cui è grazie al contrasto fra musica colta e bassi “frizzi e lazzi”, che pare resti maggiormente impresso quel mobilificio svedese, quella bibita gassata, o quella schiuma da barba. C’è anche il “dejà vu” sonoro: quella sensazione di aver già sentito quel pezzo, chissà dove e quando, che rende più familiare anche il prodotto.

Facciamo qualche esempio. Un vecchio spot di una nota birra altoatesina e l’Acquario del Carnevale degli animali di Saint-Saëns: un paesaggio innevato, dei bicchieri con sembianze antropomorfe, con gambe e braccia, colmi di birra e candida schiuma, li vediamo sbucare da una tana e avvicinarsi a un ruscello di montagna fra la neve, sotto lo sguardo attento di un lupo; appare quindi lo slogan che ribadisce come la birra sia buona perché ha sempre vissuto fra i ghiacci. Chi conosce il brano in questione, sa come possa essere facile associarlo all’idea del fiocco di neve, del freddo, della purezza cristallina, anche se il compositore aveva in mente un acquario.
La danza delle spade di Aram Khačaturjan, invece, diventa un “chi-chi-chi” ossessivo, insopportabile e purtroppo per noi memorizzabile, nello spot di uno sgrassatore universale dal logo gallinaceo. E che dire di Cecilia Bartoli, che fino a qualche anno fa gorgheggiava su un’aria di Cimarosa fra gli scaffali di un supermercato?

Si sa che a Carnevale ogni scherzo vale, e quindi perché non provare ad abbinare musica classica e spot con i brani proposti nel programma?
Aubade di Lalo non stonerebbe come sottofondo alla pubblicità di una cioccolata svizzera, con tanto di panorami montani e mucche pezzate al pascolo. Per il Concerto di Čajkovskij, ecco dei biscotti entusiasti che si lanciano da soli nel caffellatte a colazione. La Sinfonia iniziale di Pulcinella Suite di Stravinskij è perfetta per camminare a tempo in una giornata di sole con delle scarpe comode, ma gli svisi di trombone del Vivo, accompagnano il cuoco dilettante mentre apre e annusa soddisfatto un vasetto di passata di pomodoro. E per le Le boeuf sur le toit di Milhaud? Bisogna aspettare che entri l’oboe, ed ecco un filo d’olio d’oliva che scorre su una mozzarella fresca… E adesso continuate voi, come vi pare.
“Antò, fa caldo”
Luisa Ranieri nello spot di una bibita | 2002