La nostra continua attenzione verso altre forme artistiche ci porta questa volta a confrontarci con il fumetto. Jean Giraud, più noto con gli pseudonimi di Moebius e di Gir, è stato un fumettista francese considerato uno dei maestri del fumetto e dell’illustrazione di genere fantastico e fantascientifico.
Con il concerto del 12 novembre si compie il ciclo delle tre commissioni che l’ORT ha prodotto per celebrare i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, ispirate ciascuna a una cantica della Commedia. Ascolteremo quindi, per la prima volta, Forse semilia miglia di lontano di Alberto Cara, che si ispira al Paradiso. Dire l’indicibile, cioè raccontare l’effetto che fa la contemplazione di Dio, era l’altissimo compito che Dante si era dato per questa cantica; cosa che gli riesce, è il caso di dire, divinamente, grazie a una serie di artifici linguistici, all’invenzione di parole nuove, alla creazione di una sinfonia universale fatta di profumi, suoni e luce, che coinvolge tutti i sensi. Tutto per far comprendere con la parola poetica, che si fa suono, musica, e scienza, i principi dell’Universo. Ma come si può rendere visivamente tutto questo? È la domanda che si è fatto Jean Giraud, in arte Moebius, il grande fumettista francese, che nel 1999 si trovò a dover raccontare per immagini il Paradiso di Dante per una storica pubblicazione, in cui figuravano anche altri due giganti dell’illustrazione come Lorenzo Mattotti con l’Inferno, e Milton Glaser con il Purgatorio. Ecco cosa racconta Moebius a proposito della difficoltà di rendere visivamente l’«indicibile».

«Ma il Paradiso… come rappresentarlo all’infuori dell’immagine d’Epinal dei cori d’angeli con le arpe, di un Gesù in gloria alla destra di un iperbarbuto, e di qualche Vergine per ben dimostra-re la purezza assoluta delle intenzioni? Questa iperbole cristiana dal pallore di luna non puo essere affidata ad un qualsiasi essere umano, anche se dannatamente pieno di talento! Ci vuole un bambino, o un eletto, o un folle puro, ci vuole un Santo, un Profeta, un sublime visionario, una fata. Dante ha fatto il viaggio, tutti questi attributi erano inscritti in lettere d’oro sul passaporto della sua anima, ma era stato privato dell’immagine dal Dio accigliato dell’epoca. I secoli passarono sulla sua poesia, il suo occhio interiore volteggiava al bordo dell’aldilà, aspettando la propria ora e trovandola infine nel più infantile degli artisti, nel più danzatore, in quello che affondava la punta del suo bulino nel nero profondo e infernale dell’inchiostro di china. Gustave Doré, il solo capace di reclamare a Dio il permesso speciale di assaggiare il Paradiso come se fosse la mela assoluta dell’estasi grafica. Gustave Doré era la mia sola via d’accesso all’ombra portata dalla luce paradisiaca sfiorata dalla penna angelica dell’artista. Una specie di eco di un’estasi lontana, un avanzo mezzo secco d’ambrosia, una traccia raccolta nel vento del tempo e sulla quale, senza vergogna, ho appoggiato di nascosto la mia carta da ricalco. Che cosa non bisogna fare per guadagnarsi il sopra-vivere!».
