L’ipotesi di Santo Stefano al Ponte Vecchio sfuma definitivamente dopo la strage dei Georgofili. Per l’ORT comincia un altro periodo di nomadismo e tra i nuovi luoghi spunta anche un cinema, ma non durerà per molto. Riuscirà l’orchestra a trovare una casa definitiva?
Nel 1945, la Chiesa di Santo Stefano al Ponte Vecchio aveva resistito con una fierezza quasi umana ai bombardamenti nazisti. Nel far saltare i ponti di Firenze, l’esercito del Führer aveva colpito una zona della città di immutata bellezza. Ponte Vecchio era stato risparmiato, ma le zone circostanti no, e si vede. Santo Stefano però aveva resistito. Era rimasta lì, forte della sua antichissima storia e della sua composta alterigia. Per questo, lo spettacolo che si offre ai primi soccorsi che sopraggiungono nella notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993 è ancora più drammatico. L’attentato ha trasformato le vetrate della chiesa in lame taglienti che vanno a sfregiare opere d’arte (la chiesa viene utilizzata dalla Curia come deposito di opere d’arte e paramenti provenienti da altri edifici ecclesiastici fiorentini) ed elementi architettonici. Sono come pugnalate inferte da un folle su un quadro di Giotto del 1300, la Madonna di San Giorgio alla Costa; il contraccolpo dell’esplosione scaglia calcinacci su tele di Paolo Uccello e Masolino, sull’altare del Giambologna, sulla scalinata del Buontalenti. Il soffitto cade di schianto, distrugge ciò che trova in questo suo volo pericoloso, seppellendo la platea, mescolando macerie e paramenti sacri. Uno spettacolo sconvolgente.

L’Orchestra della Toscana si ritrova di colpo senza casa. Ci sono importanti concerti da tenere: il primo ospita la grande violinista Viktoria Mullova, il secondo – nell’ambito del Maggio Musicale Fiorentino – è diretto da Luciano Berio, ospite la star tedesca Ute Lemper alla quale sono affidate le celeberrime Folk Songs. La gara della solidarietà è aperta: le prove con la Mullova si tengono alla Chiesa di Sant ‘Antonino a Bellariva, alla periferia di Firenze; il Comunale mette a disposizione dell’Ort il Piccolo Teatro. Ma sarà un altro spazio a diventare il luogo delle prove dell’Ort. Anche quello storico: è lo studio c all’interno della sede regionale della Rai, uno stanzone dove, in passato, si sono registrate trasmissioni importantissime e che è stato il regno della prosa radiofonica italiana. Nel nomadismo dell’Orchestra della Toscana – al quale la compagine fiorentna ha sempre risposto con orgoglio ineccepibile, ospitando sul proprio podio nomi del calibro di Bruno Bartoletti, Gianandrea Gavazzeni, Peter Maag o Lu Jia, che è una scoperta dell’Ort, senza contare le numerose tournée all’estero – ci mancava giusto un cinema.

A dir la verità, La Compagnia è stato anche teatro di prosa. Ha ospitato spettacoli di Ronconi, di Leo De Berardinis. Ma il gruppo Cecchi Gori l’ha trasformato in cinema, che il lunedì chiude, non proietta film. L’orchestra della Toscana così sigla un accordo con la casa cinematografica fiorentina: terrà i propri concerti, in questa saletta da 500 posti e dall’aspetto postmoderno, dalla forma non propriamente adatta a concerti di musica classica, ma ad acustiche avverse l’orchestra ci è abituata. Non mancano le polemiche: il 15 ottobre del 1993, quando viene presentato il cartellone dell’anno più maledetto nella storia dell’Ort, il direttore artistico Aldo Bennici denuncia “l’ottusità della burocrazia” e gli effetti di un’altra bomba, quella “dell’imbecillità” che compromette il lavoro dei 45 professori dell’Ort, costretti a lavorare in una situazione pericolosamente instabile e chissà per quanto: i lavori di ristrutturazione, infatti, non sono ancora iniziati, nonostante la Regione abbia stanziato un miliardo. Nel frattempo, alla Compagnia si aggiungono altri spazi: dalla Chiesa di San Remigio al Teatro Variety.

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