Ecco che fa capolino un nuovo spazio: il Teatro Verdi. Voluto da Girolamo Pagliano, è da sempre il “teatro del popolo”. Nel 1997 dopo una lunghissima e gloriosa gestione, la famiglia Castellani è costretta a cedere il passo. Forse è la volta buona per l’ORT.
Il caso vuole che la stagione di quell’anno si inauguri al Teatro Verdi. Che a Firenze chiamano ‘il teatrone’, per via della capienza (1500 posti circa), dalla maestosità – un po’ casalinga, a dir la verità – della sala, tutta stucchi e velluti rossi che tradiscono, comunque, una storia di cartelloni assolutamente eclettici. Un “casermone della lirica”, “una vecchia galera che ha solcato i mari della tragedia e del dramma” lo definì Alberto Savinio: fatto costruire da Girolamo Pagliano, baritono pistoiese che si rivelò spregiudicato manager con il suo progetto di metter su un teatro per il popolo, il Verdi prese posto nientemeno che di un carcere, quello dell’Isola delle Stinche nel 1301 (vi fu recluso, tra l’altro, il Machiavelli).

Lo ha ‘inventato’ l’architetto Telemaco Bonaiuti insieme al figlio, Carlo: l’inaugurazione fu il 10 settembre 1854 con Il Viscardello di Verdi (Rigoletto nella versione manipolata dalla censura), primo di una gloriosa serie di titoli lirici come la Norma di Bellini e la Dinorah di Meyerbeer, oltre ad una valanga di melodrammi caduti nel dimenticatoio ma allora graditi allo zoccolo duro e popolare dei melomani. Fu un’inaugurazione clamorosa, dicono le cronache, che fece discutere perché su sei ordini di palchi, Pagliano ne aveva riservati ben tre – gli ultimi, quelli più alti – al popolo, ai cittadini meno abbienti che, con poche lire, potevano assistere ad uno spettacolo d’opera. A chi lo accusava di spreco, Pagliano rispondeva con fierezza populista “Io sono nato dal popolo e fui povero”.

Già, il teatro del popolo. Il Verdi lo è sempre stato, fin dall’inizio, a costo di una programmazione supereclettica: sul suo palcoscenico infatti ha trovato ospitalità l’era del varietà e della rivista, da Totò a Wanda Osiris, da Anna Magnani a Alberto Sordi e poi Dapporto, Macario, Nino Taranto, Tognazzi, Rascel, Delia Scala, Paolo Panelli e Bice Valori, Fabrizi, Modugno, Nino Manfredi, Walter Chiari, Gino Bramieri, Johnny Dorelli, Monica Vitti, Proietti, Montesano, Grillo e ancora colossi della musica come Armstrong, la Fitzgerald, i Platters, Carmen Miranda, la Greco, la Rodriguez, van Morrison, Mina, Bruce Springsteen e ancora spettacoli di Paolo Poli e Carmelo Bene, un concerto jazz di Woody Allen, ma anche Bejart e Zubin Metha, artefice il Teatro Comunale.

Nel 1997 la famiglia Castellani, una vera e propria dinastia che ha in mano questo teatro da almeno sessant’anni, decide di lasciare il Verdi: la situazione economica non permette ulteriori rischi d’investimento, non permette di sostenere i costi esosi delle compagnie e un teatro certe volte davvero troppo grande per essere sufficientemente pieno da coprire i costi. Così, i Castellani decidono di mollare, nonostante la solidarietà della città ‘che conta’ che si stringe intorno a quella che, per anni, è stata una ‘gestione familiare’ di un importantissimo spazio per lo spettacolo fiorentino.

(5. Continua)